giovedì 13 agosto 2015
Sentii un miagolio disperato provenire da dentro un pozzetto a cielo aperto.
Mi fermai per capire esattamente di dove provenisse quel lamento straziante.
Mi affacciai sul pozzetto e vidi, due metri piu in basso, due occhioni enormi che mi guardavano disperati.
Era un micino di pochi mesi caduto probabilmente mentre stava esplorando la zona.
La missione di recupero era tutto sommato semplice: mi calai senza esitare all'intenro del pozzetto ma il micio, allarmato dai miei movimenti, si dileguò istantaneamente dentro un altro buco adiacente, non raggiungibile a causa di una stretta insenatura.
Mi accorgo infatti che il pozzetto ha una piccola camera comunicante ma io non posso arrivarci perche sono troppo grosso rispetto all'insenatura.
Il micino, comunque, era sparito per rintanarsi dentro una piccola apertura tra il terreno e la parete del pozzetto adiacente.
Provo a chiamarlo sussurrando suoni rassicuranti, ma lui vuole solo la sua mamma ed è impossibile tirarlo fuori da li: sento solo i suoi mugolii sommessi provenire da qualche parte e poi piu nulla.
Con fatica riesco a risalire da solo dal pozzetto, ma solo perche le gambe mi permettono di schiacciare la schiena contro le pareti dello stretto e angusto buco.
Era di mattina e consapevole che non potevo fare molto altro decido di attendere la sera.
A notte fonda mi riaffaccio di nuovo sul pozzetto con una torcia elettrica per illuminare il buco, ed eccoli di nuovo li quegli occhi giganti e scintillanti che mi guardano disperati e smarriti.
I miagolii ora sono piu sommesi e stanchi.
Mi calo ancora nel pozzetto ma ecco che il micio sparisce di nuovo: è troppo terrorizzato per fidarsi di me, è venuto al mondo da poco e vuole la sua mamma, non me.
Visto come si mettono le cose, per non lascialo morire di stenti, lascio dell'acqua e un po di cibo e mi tiro fuori dal buco.
Il giorno dopo, di mattino presto, ritorno per vedere se aveva mangiato.
Dalla strada il miagolio si udiva in maniera straziante, ed era cosi disperato che riusciva a commuovermi.
In quel momento osservo un passante che neanche si degna di voltare lo sguardo all'udire di quella richiesta di aiuto, ma anzi passa oltre noncurante: è incredibile come il pianto di un altro essere vivente passi cosi inosservato a noi esseri superiori.
Mi affaccio sul buco e rivedo gli occhi del micino che mi guardano spalancati. Mi calo di nuovo dentro.
I grossi ragni, alla mia invadente presenza, lasciano velocemente le loro tane e le zanzare si alzano su di me come una nuvola alla ricerca di cibo.
Il micino, come al solito, si spaventa e si rintana nel buco adiacente al pozzetto, ma stavolta è talmente stremato che non va a rifugiarsi nella frattura tra il terreno e la parete.
Noto con piacere che parte dell'acqua e del cibo che avevo portato la sera prima erano stati consumati.
Allungo la mano per afferrarlo ma è irraggiungibile per pochi centimetri.
Sbuffo contrariato: sarebbe una sciocchezza metterlo in salvo ma lui non se ne rende conto e insiste a sfuggirmi.
Provo di nuovo ad allungare il braccio schiacciando il busto contro il muro, affondando la faccia tra le ragnatele.
Il micino è stremato e non scappa via, ma rimane in zona di sicurezza rispetto alla mia mano.
Sto per desistere ma vedo sotto i miei piedi, tra i calcinacci, una tavola di legno lunga e sottile.
La prendo e la allungo lentamente verso il gattino il quale spaventato si schiaccia ancor di piu verso la parete e comincia soffiare con quelle poche energie rimaste.
Riesco però ad usare quel pezzo di legno come una estensione della mia mano e inizio ad accarezzarlo sulla testolina.
Mi rendo conto che è un gatto veramente piccolo, come non avevo affatto compreso inizialmente. Continuo a grattarlo sulla testolina con la tavoletta di legno, poi la passo sotto il collo, dove i gatti adorano essere accarezzati.
Non si lascia convincere facilmente dai miei tentativi, però avanza incredibilmente un passetto verso la mia direzione.
Mi manca poco per averlo a tiro dei miei polpastrelli perciò lascio improvvisamente il legnetto, ma lui si accorge e subito si ritrae diffidente.
Sono quasi disperato perche non ce la faccio più a stare cosi rannicchiato con le zanzare che mi attaccano da ogni direzione.
Mi alzo diritto in piedi un secondo per riprendere fiato e poi ci riprovo piu determinato.
Lunghe e dolci carezze con il pezzo di legno fanno avanzare di nuovo verso di me il gattino con piccoli passi quasi impercettibili. Insisto con il braccio proteso il piu possibile dentro il buco ed ecco che il micino comincia addirittura a fare le fusa.
Ma attendo che si avvicini ancora perché stavoltra non voglio rischiare di non averlo veramente a portata di mano. Aspetto più del dovuto, lui si avvicina ed ecco che il bastone lascia posto alla punta delle mia dita che iniziano ad accarezzarlo sulla testa, poi con tutta la mano, sulla schiena.
Sono convinto che è così abbattuto e disperato che gli è impossibile sottrarsi ad un attimo di conforto umano... ed ecco che di scatto lo afferro dietro la nuca, dove le mamme gatte afferrano i loro piccoli: è mio!
Lo stringo velocemente al mio petto e mi risollevo in piedi.
Lo accarezzo per tranquillizzarlo ma è frastornato, il micino non capisce più nulla: la luce esterna è piu vicina ai suoi occhi ed è abbagliato e disorientato. Vorrei accarezzarlo ancora ma è troppo spaventato e lui fa per sfuggirmi di nuovo verso il basso, verso il buco.
Stringo la presa per non lascialo scappare via. Capisco che non posso essere cosi egoista come vorrei nel coccolarlo ancora, e così lo sollevo immediatamente verso l'alto, verso l'uscita dell'imboccatura e lo lascio andare.
Il piccolino rimane accecato dalla luce del sole che non vedeva da due interminabili giorni e rimane per un attimo disorientato.
Poi si rende conto di essere veramente libero e scappa via, chamando la mamma con un miagolio forte e lacerato che mai avevo ascoltato nella mia vita.
Non ho visto esattamente dove si dirigeva perche ero ancora dentro il buco.
Sono uscito piu presto che ho potuto, ma il suo miagolio è svanito velocemente mentre si allontanava da quell'inferno.
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